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ARCHIVIO GRAZIA VARISCO
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Quasi autobiografia

Accademia di Francia, Villa Medici, Trinità dei Monti, Roma, 21 aprile 2016; Un invito a dire di me…

…a Trinità con l’accento sulla A che sottolinea l’elevazione non solo fisica. Un invito a raccontarmi, a dire di me, dei miei interessi, delle mie esperienze, del mio percorso artistico.
Artista!? Dicono…e io me la godo! Perché la parola “Artista” non mi chiude in un’attività definita e limitata, mi concede uno spazio più ampio e libero e…anche perché vale ugualmente al maschile e al femminile…e non e’ poco ancora oggi. Sono una donna che dichiara l’eta’ senza barare, tanto gli anni ci sono, li vedo e sento tutti: 5 ottobre 1937… Sono di prima della guerra… Si diceva per rivendicare qualità di durata e di sostanza… Nel mio caso, i ricordi dell’infanzia anche in guerra riemergono, per fortuna senza drammi, e imprevedibilmente riaffiorano a sprazzi anche nel percorso artistico. Prima della guerra…anche dell’infanzia in guerra. Per parlare ai giovani di oggi, di un percorso cosi’ lungo nel tempo, occorre ricordare che e’ iniziato quando computer, telefonini, facilita’ di comunicazione e avanzata tecnologia erano a venire. I giovani della generazione ’35-’40 hanno vissuto Il boom dei primi anni sessanta e ne sono in qualche modo testimoni. L’infanzia delle nostre generazioni è cresciuta in una Milano che ancora portava i segni di profonde ferite negli spazi di “macerie” che hanno lasciato forti segni sensoriali nella memoria. Ricordo, senza angoscia, anzi con piacere, di avere attraversato, come scorciatoia, le macerie di una casa distrutta nella mia via. Le pareti rimaste, a ridosso di un muro maestro, con frammenti di carte da parati a fiori, di piastrelle in geometrie disturbate da fenditure e crepe, di muri con zone monocrome in tinte pastello, erano una scenografia vivace e stimolante che mi incuriosiva. Il passo era incerto ma divertito per il sentiero di terra battuta tutto sconnesso in dislivelli inclinati.
Ho insegnato per anni Teoria della Percezione con l’intento di animarne i princìpi che con interesse elaboro nella pratica artistica e che in modalità diverse si evidenzia nell’attività del Gruppo T e di altri gruppi, tenendo in grande considerazione l’interazione dei sensi. Abbiamo coscienza del mondo e di tutto quello che ci circonda attraverso i sensi che informano il nostro corpo.
Vedo, tocco, ascolto, sento, gusto…e +++ vivo “emozioni”. L’esperienza guida la sensorialita’ a prove e gesti che si ripetono nel tempo.

Grazia Varisco con il maestro Achille Funi all' Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, 1959, foto Cesare Carabelli

Nata a Milano, che amo… abbastanza, dove tuttora vivo e lavoro.
Dopo le medie al Parini, solo una fermata di tram in più, ho vissuto Brera come casa mia, dal liceo all’Accademia, come studente e poi come docente per tanti anni, con incontri e scambi con artisti e studiosi affermati e altri in formazione come me.
La Milano degli anni 50/60… tra Liceo e Accademia. I miei percorsi quotidiani erano tra casa e Brera.
La Brera di allora non era quella vastissima, lussuosa, consumistica zona che oggi si estende tentacolarmente e che per molti frequentatori è solo sinonimo di movida diurna e notturna senza identità. Questa, non somiglia alla mia Brera che per me era più Braida (senza Amarcord).
La Braida come “Campo accanto” per me e’ stata campo di semina e raccolto.
Campo accanto alla città che cominciava a ricostruirsi…il Pirellone di Ponti, il Bega, la Torre Velasca di Rogers ecc.

In Piazza del Duomo, sul palazzo di fronte, il sacro e il profano, il trionfo della pubblicità: le prime RECLAMS al neon con la spirale dell’Amaro Cora girevole…cinetica. Poi raggiungevamo le gallerie, che erano in una cerchia piuttosto ristretta attorno a Brera con qualche rara sosta per un te con Guido Ballo nei bar vicini… Raramente al Giamaica che per noi era… troppo da pittori che ancora si dividevano tra Astrazione e Figurazione.

Gruppo T, Milano, 1960/61, foto Ugo Mulas
Gruppo T , Milano, 1960/61, foto Ugo Mulas
Il Gruppo T nelle Officine Varisco, Milano, 1962
Tano Festa e Mario Schifano intervengono su una Tavola Magnetica, Galleria La Salita, Roma, 1961, foto Alfio Di Bella
Grazia Varisco con una Tavola Magnetica, Galleria La Salita, Roma, 1961, foto Alfio Di Bella

E, proprio a Brera comincia la mia vicenda con i compagni di corso (Boriani, De Vecchi poi Colombo e Anceschi) nell’aula di Funi, dove, in modo quasi surrettizio, fuori orario, prima ci “informalizzavamo” e poi ci interessavamo ai concetti del rapporto Spazio/Tempo parlandone fra noi e con Guido Ballo che studiava e approfondiva i temi del Futurismo. Dall’attenzione e dallo scambio su questi argomenti nasce l’esperienza del Gruppo T, (T =Tempo) che sperimenta i primi tentativi di rappresentazione di questi concetti moderni con le manifestazioni Miriorama.
Io, partecipe degli stessi interessi, inizio a esaminare con le Tavole Magnetiche la variazione espressiva di una superficie usando forme ed elementi con calamite, che consentono di confrontare gli opposti, come ordine/disordine, sopra/sotto, prima/dopo, attrazione/repulsione ecc.

Suzo Tachiguci interviene su una tavola magnetica Minami Gallery, Tokio, 1961

Il gioco, come strumento di conoscenza; è un invito a giocare con me, con i miei oggetti, con concetti elementari… Il pubblico diventa artista con me; come me, tocca, sposta, agisce, prova, sperimenta e conosce.
Il coinvolgimento del pubblico è alla base della proposta del Gruppo T, dopo tanto informale contemplativo e spesso autoreferenziale, proposto in tante gallerie e ormai un po‘ senza respiro….
“Si prega di toccare”….Il coinvolgimento per attivare l’esperienza artistica anche nel pubblico…. è la proposta e il senso delle mie “Tavole magnetiche”.
La calamita di un mio gioco d’infanzia “Paesaggio magnetico” che provavo senza successo sul marmo del tavolo o il legno del tagliere o il muro della parete della casa dove eravamo sfollati, aderiva compiaciuta solo a quella limitata tavoletta di ferro o alla maniglia della stufa che a volte scottava.

A Milano in Brera e dintorni, con interessi convergenti, conosciamo Castellani, Manzoni, Bonalumi, Nanda Vigo, Dadamaino, Reggiani, Munari e Fontana. A Roma, abbiamo contatti con Dorazio, Scialoia, Festa, Accardi, Schifano, Turcato, Carrino e altri. Contemporaneamente si creano contatti con gruppi di artisti che partecipano alle stesse ricerche sia in italia, con il Gruppo N di Padova, e Getullio Alviani, che all’estero GRAV in Francia, Gruppo Zero in Germania e Nuove Tendenze a Zagabria.

Il Gruppo T con Cy Twombly alla Galleria La Salita, Roma, 1961, foto Alfio Di Bella
Mostra del Gruppo T alla Galleria Pater con Lucio Fontana, Milano, 1960, foto Alfio Di Bella
Mostra del Gruppo T alla Galleria La Salita, Roma, 1960, foto Alfio di Bella

Lucio Fontana nel 1961 presenta una delle prime mostre Miriorama (mille immagini) del gruppo T, alla Galleria la Salita da Liverani con un suo testo pubblicato sull’invito. Munari che dalle primissime esperienze ha seguito il gruppo T con attenzione ed interesse propone e cura la prima mostra di “Arte Programmata” e Cinetica sostenuta da Adriano Olivetti nel 1962.Umberto Eco scrive il testo per il catalogo della mostra che passera’ da Milano a Venezia, a Roma, a New York e altre città negli USA.
Il testo di Eco ci aiuta a capire i nostri intenti e a dare una forma “aperta” alle nostre ricerche ed esperienze.

La programmazione ci consente di elaborare il rapporto Spazio/Tempo da manuale a meccanico anche con l’uso del motore. Ci proviamo con entusiasmo usando mezzi e strumenti estranei alla produzione artistica: pulegge, ingranaggi, cavo elettrico, spine, motorini, tubi al neon, Perspex, metacrilato, vetro industriale… La critica è divisa… Siamo “Quelli delle macchinette”…
Nel produrre questi lavori l’attenzione e’ tesa ad ottenere la maggiore variazione dell’immagine senza confondere il mezzo, gli strumenti, con il fine che insiste sul coinvolgimento mentale nel controllo della percezione spazio-temporale.
Per “Arte Programmata” Olivetti 1962 propongo il mio”9x9xX” e poi semplificando l’esecuzione passo a studiare i vari pattern per gli Schemi Luminosi Variabili.

Grazia Varisco in studio con l'opera 9x9xX, spazi in variazione, 1961, foto Ugo Mulas
Veduta della mostra personale presso la Galleria del Naviglio, Milano, 1971, foto Andrea Lorenzini
Grazia Varisco in officina riassembla uno Schema luminoso variabile per il Museo de Arte Moderno di Ciudad Bolivar, Milano, 1981, foto Maria Mulas
Grazia Varisco e Gianni Colombo, Galleria del Naviglio, Milano, 1971, foto Andrea Lorenzini

Seguiti dalla critica più attenta con rispetto ed incoraggiamenti (Ballo, Belloli, Dorfles), quasi con ingordigia provo soluzioni diverse nello sperimentare nuovi materiali…
Con i successivi Mercuriali e Reticoli Frangibili sperimento la variazione ottico cinetica con l’uso di vetri industriali a superficie lenticolare che rifrangono e alterano lo schema geometrico di base in relazione allo spostamento dell’osservatore. Parallelamente alle mostre Miriorama e all’attività del Gruppo T, realizzo le prime mostre personali a Milano alla Galleria Vismara 1966, da Schwarz 1969, alla Galleria del Naviglio 1972 e alla Galleria Uxa di Novara nel 71.
Nella seconda metà degli anni sessanta, con occasioni di attività lavorative nel campo della grafica in Rinascente, Piano Intercomunale Milanese, Kartell, Abitare, si allentano i contatti quasi quotidiani con il gruppo per impegni di lavoro e famigliari, nel mio caso due figli piccoli.
In coincidenza di mostre personali via via avverto una maggiore autonomia e una ridotta incidenza del confronto con il gruppo. Inoltre avverto una sorta di peso fisico, di ingombro, una voglia di ridurre il bagaglio formale, un bisogno di convalescenza riflessiva con l’intento di ricominciare il compito dai puntini e dalle astine su fogli di quaderni a righe e quadretti.

Grazia Varisco In studio con grande depliant, Milano, 1984
Grande Diagonale, 1983/84. Allestimento alla mostra Scarto allo Studio Marconi, Milano, 1984
Grazia Varisco nello studio sfoglia una Extrapagina, Milano, 1983, foto Thomas Libiszewski

Comincio a preparare pagine pagine e “per caso” un foglio si piega… Dallo studio della programmazione che esige precisione ed esattezza si evidenzia e riconosco un mio interesse crescente per il CASO. Tento, provoco il CASO che si insinua con insistenza nelle pieghe delle mie “Extrapagine” con esempi di interferenze, di anomalie, di disturbo percettivo, di “Scarto” (titolo della mostra allo Studio Marconi del 1983). Per ”caso“ in quei primi anni 70 mi capita fra le mani “Il caso e la necessità” di J.Monod, che mio marito consulta per ricerca scientifica. Il titolo mi affascina e quasi lo adotto; con curiosità affronto la lettura delle pagine più facili e vicine alla mia sensibilità. Per questa ricerca sul caso, che avverto complementare al programma, o addirittura insito nel programma, mi esercito in modo quasi maniacale con mezzi semplici, poveri. Torno a usare la carta…come nei disegni, ma, ancora con più interesse, nel collage dei miei primi tentativi; carta, cartoncuoio, monolucido, taglierino, a simulare con pieghe e contropieghe accadimenti impropri, esclusi dalla perfezione tipografica e legatoriale.
Cosi’ si evidenzia il “Se” del dubbio e dell’eventuale, del possibile… la piega si impone perentoria e si consolida in metallo, anche per grandi dimensioni. Pagine e pagine, piego ripiego e con tutti i miei “Se”, non mi spiego.

Contemporaneamente mi interesso al recupero di spazio prima nelle “Assenze” e più ancora negli “Spazi potenziali” 1974/75, prove di equilibrio instabile prodotte dalla possibilità di spostare telai che definiscono porzioni di spazi diversi e modificabili.
La piega, carica di implicazioni, anima tutto il lavoro che dalle Extrapagine passa alla “Meridiana” e allo “Gnomone”. Gnomone e’ l’asta della meridiana la cui ombra sulla superficie segna le ore e il passare del tempo. Nel mio lavoro si traduce in un perimetro quadrato vuoto e piegato che gioca con l’ombra che proietta e smentisce il rigore della geometria di base.

Gnom-one-two-three, 1984, allestimento Rotonda della Besana, Milano, 2006, foto Thomas Libiszewski
Gnomoni, 1984 e Meridiana, 1974, allestimento Rotonda della Besana, Milano, 2006, foto Thomas Libiszewski
Oh!, 2006, allestimento Rotonda della Besana, Milano, 2006, foto Thomas Libiszewski

La piega si ripropone e si conferma protagonista nell’ esperienza della ”OH!” che scelgo come titolo di un’opera del 1996.
L’assoluta perfezione della forma circolare alterata dalla piega concede l’emozione della semplicità elevata a significato.
“OH!” 1997 Il mio vuoto esclamativo… tutto in fretta: quattro chiodi, tre cerchi, due gesti, un niente… e lo stupore è intenso.
“Oh!” esprime lo stupore, il mio stupore, interpreta la sorpresa compiaciuta per l’improvvisa, imprevista visione di un pensiero che si materializza appagato.
Ma e’ scultura?
Le definizioni come pittore o scultore mi imbarazzano, non si adattano alle espressioni dell’arte contemporanea.
Ho sempre invitato gli studenti a distinguere tra la scultura che occupa lo spazio e quella forma d’arte che ospita lo spazio. Il pieno e il vuoto, la gravità e la leggerezza…la linearità e la distorsione, tensioni e forze opposte che tentano l’equilibrio.
Oggi a me interessa spostare l’attenzione sulla mia attività attuale, che tuttora pratico spontaneamente nel quotidiano con impegno, ma anche con attenzione divertita… In fondo alle mie note biografiche scrivo: Grazia Varisco vive e lavora a Milano.
Si, sono viva e con convinzione sono ancora interessata a mettere in prova, a dare forma a un’idea che, quando si presenta con insistenza, diventa irrinunciabile.
Dal periodo iniziale Gruppo T, Arte Programmata e Cinetica, senza previsioni, sono derivate via via quelle che definisco esperienze conseguenti di una vicenda di cui allora non si immaginava né la portata né il seguito.
In nuove forme ho riproposto l’attenzione al rapporto Spazio/Tempo, Caso/Programma, al confronto fra opposti…in continua rinnovata tensione per un coinvolgimento percettivo, attivo, dello spettatore che invito a condividere i miei tentativi, osservando, toccando, spostando… sollecitando i sensi in uno scambio di informazioni ludico e partecipe.

“Il corpo come campo dei sensi” e’ il titolo della mia mostra al Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, che presenta la mia attività artistica dal 2000 ad oggi e che interpreta l’esperienza dell’interazione dei sensi, sperimentata in opere.
Cosi’ finalmente si motiva quel “vive e lavora a Milano” a cui aggiungo a Limbiate …come in vacanza all’Elba…a Katmandu o dovunque capita di sentirmi viva e stimolata.
La percezione e’ un’esperienza che mette in atto uno scambio di informazioni. Il corpo, attraverso questi meccanismi avverte, riceve e reagisce agli stimoli.
Lo studio delle possibilità percettive esamina fenomeni in cui il dubbio e l’ambiguità prendono forma (Gestalt) in modo incerto o illusorio.

R. RotoReteRossa, 2006 e Sollevo/Sollievo, 2002, allestimento Museo della Permanente, Milano, 2012, foto Thomas Libiszewski

Nel 2001 in una prova sulla ambiguità percettiva tra il dentro e il fuori, pratico nella lastra di ferro un taglio angolare, forzato a sporgere da una lunga sbarra che, perentoria, in diagonale, attraversa tutto il campo visivo. Il titolo: “Double”, che propone il confronto fra le due parti, davanti e dietro, tenta nel richiamo a soffici tessuti, di ammorbidire la fermezza rigida dell’opera.
“Sollevo/Sollievo” del 2002 . Nell’incastro di leggeri tondi di reti metalliche a maglia rada si impigliano crucci gravi e speranze raggiunte dopo tanta ansia. Nella leggerezza della forma sospesa e nelle ombre che produce trovo sollievo. Il lavoro e’ spesso autobiografico…anche e proprio quando non te lo proponi.
Nei “Silenzi” 2005, dal corniciaio tanti passepartout diversi e sovrapposti… diventano l’occasione per una pausa di riflessione sulla produzione che rischia l’abitudine al mestiere, per me, tanti vuoti muti, variabili, estensibili, incolmabili per gli irrinunciabili “sovrumani silenzi” della poesia che abita l’arte.
“3 R. RotoReteRossa” del 2006 evidenzia l’esperienza percettiva della lettura delle forme circolari non definite dalla linea continua. La differente inclinazione del reticolo scandisce e separa le forme accostate. Tutto qui, e’ solo quello che si vede.

“Quadri Comunicanti” del 2008 sperimenta il tentativo di verifica fra casualità e allineamento in una sequenza di probabili e improbabili travasi.
La irregolare disposizione di una forma ripetuta che contiene una qualunque quantità di vuoto o una qualunque quantità di pieno, suggerisce una provvisorietà, una precarietà, una condizione di bilico incerto che si fissa ma non trova quiete nemmeno in un allineamento rettilineo, rigido e perentorio.

Quadri Comunicanti 7+1, 2008, allestimento Museo della Permanente, Milano 2012, foto Thomas Libiszewski
Filo rosso, 2008, allestimento Museo della Permanente, Milano 2012, foto Thomas Libiszewski

“Filo Rosso” 2008 rappresenta proprio un segno di continuità che attraversa le esperienze e che con sorpresa riconosce e sottolinea la pregnanza nelle forme del dubbio.
Con ”Quadri Comunicanti – Jar” ho voluto provare un’altra versione dei Q.C., quasi a simulare un travaso di liquido più limpido, usando un materiale diverso: “Acciaio Supermirror”.
Mi sono vista inesorabilmente rinfacciata la mia vecchiaia, ahimè! …Altro che Narciso! In un moto di ribellione ho spazzolato, satinato la superficie, e più ancora ho insistito con punzonature per sfogarmi e smorzare l’offesa e allo stesso tempo per evitare al pubblico la distrazione data dalla propria immagine riflessa. Poi, a raptus concluso, mi sono sorpresa riconoscendo in questa nuova versione un inconscio omaggio a Lucio Fontana.
L’opera ”Acciai” 2012 é il contenuto dei Quadri Comunicanti solidificato, congelato, sottovuoto. Un travaso di liquido che scopre, un contenuto contento…quasi appagato.
In modo ancora una volta contraddittorio si verifica un divertimento percettivo che mette a confronto, in dubbio e in gioco, casualità e regola.

Risonanza al tocco 2010 è una esperienza direttamente collegata all’interazione dei sensi…. Il,”si prega di toccare” sollecita una percezione interattiva che coinvolge tatto vista e udito. In una locandina nel mio studio l’immagine di Igor Stravinskij con espressione divertita accosta la mano all’orecchio come ad amplificare l’ascolto… Il gesto sembra sollecitare una risonanza ormai prossima, in un “durante” carico di attesa fra un prima e un poi… un ”fra” che, ancora muto, attende impaziente il tocco. Il Tempo ha un prima, un dopo… e un durante.
Nei ” Ventilati” 2014, rivedo nel ricordo infantile un bucato steso, irrigidito dal gelo in forme ghiacciate e sghembe, una sorta di geometrie ventilate e allineate nello spazio libero. Avverto il disturbo della ortogonalità contraddetta, anzi smentita nell’allineamento degli elementi scomposti forse appena mossi da un colpo di vento rigido. Con i”Ri Velati” 2015, dopo i Ventilati di cartone opaco, provo con una sottile rete metallica ripiegata.

Ventilati, 2013/2014, allestimento A arte Invernizzi, Milano 2014, foto Bruno Bani
Ri - Velati, 2015, allestimento Ghisla Art Collection, Locarno, 2016, foto Bruno Bani

Un velo rigido che vela o meglio…svela, la sorpresa della vibrazione nella trasparenza leggera. Ancora insisto su questa esperienza dell’allineamento che avevo anticipato anni fa in una mostra intitolata “Strappo alla regola” 2007 in cui un piccolo strappo casuale su tante buste disposte a parete si allinea lasciando intuire il tentativo di ordine nel caso.
Il “Se…” del dubbio, dell’eventuale, del possibile si insinua compiaciuto nelle mie esperienze di ricerca fino ad essere scelto come titolo di mostre personali a Milano 2012, Berlino 2014, Londra 2015.
Così il Caso che pretende importanza, si impone come elemento di dissidio, per me stimolante e irrinunciabile e si materializza in tante trappole visive che si accumulano e ingombrano il mio studio e ahimè!.. anche la mente. Solo per concludere, vorrei poter trasmettere la mia sensazione di avere goduto di un grande privilegio, (di cui vorrei sapere chi ringraziare) di cui mi sono sempre sentita responsabile specialmente verso i giovani, tanti ex studenti, che a volte mi raggiungono con parole e segni di gratitudine che commuovono. Un grande grazie a tutti i presenti a cui ho potuto motivare la fortuna di essermi lasciata calamitare e …intrappolare dal “bello” e, a volte, di avere provato “stati di Grazia”!

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